A breve ricomincia un nuovo anno del corso di improvvisazione teatrale, il quarto per me. Fino ad oggi, è stato un po’ come una triennale: inizi un percorso di formazione ancora non completamente sicuro della tua scelta, qualcosa intanto ti metti in tasca che non si sa mai, e poi aspetti che arrivi la magistrale per capire davvero cosa vuoi fare da grande.
Davanti e questo bivio, mi sono quindi fermato a riflettere sul perché faccio imprò, se e perchè continuare anche quest’anno. Sacrificando un pezzettino di famiglia, soffrendo un po’ con i viaggi di lavoro, mettendo da parte altre occasioni che potrei avere. Perché imprò?
Perché Imprò mi offre la possibilità di provare ad essere, ogni volta, una versione differente di me stesso. Con una validazione sociale semi-reale. Di sperimentarmi. Con dei risultati di cui a volte mi sento fiero. Dai quali, a volte, vorrei già dissociarmi ancora prima di aver finito l’improvvisazione. Che a volte mettono in luce un mio nuovo limite. Che mi lasciano, delle volte, spunti da conservare anche fuori dal palco. Questo avere la possibilità di iterare su me stesso, di eseguire dei katha comportamentali, senza fare troppi danni, è un’occasione incredibile!
Perché Imprò mi mostra una parte di chi sono, leggendomi negli altri. Una sera abbiamo messo in scena come vedevamo i nostri compagni di corso. Uno per volta, e con il soggetto della scena a fare da spettatore. Ecco, quei pochi minuti in cui ero io quello seduto, sono stati un’occasione importantissima di crescita personale. Non che sia arrivata dal nulla. Due anni e mezzo già condivisi assieme, con i loro alti e bassi, con un’alchimia di gruppo mentalista e donatrice. Non che sia stato facile. Da accettare innanzitutto, elaborare poi, trasformare in azioni concrete ancora dopo. Ma io davvero non so quante persone, nella vita, hanno la fortuna di poter ricevere un dono di pari valore.
Perché Imprò allena la mia resilienza sociale. Sul palco le cose accadono, e l’unica vera regola del gioco è che io devo reagire. Reagisco ad interazioni che mi fanno sentire a mio agio, a degli scambi inaspettati, a comportamenti che mi toccano su un nervo scoperto. E reagendo, imparo su di me. E continuando a reagire, imparo ad inter-agire. È un lusso raro questa palestra, quante volte ci troviamo sbattuti davanti al quotidiano, senza mai aver avuto la possibilità di misurarcisi prima?
Perché Imprò mi fa apprezzare l’utilità del mostrarmi vulnerabile. A volte proprio non mi ci trovo in una scena, non so come uscirne, sono bloccato. E in tre anni, ho imparato che alzare la mano e chiedere aiuto è inevitabile e necessario. Che è normale, perfino atteso. Addirittura utile. Mostrarmi non in grado, vulnerabile, non porta ad un giudizio e conseguente castigo sociale. È, invece, un’azione creativa. È piantare il seme che fa nascere nuove storie. Che chiedere aiuto è dare la possibilità ai miei compagni di palco di fare un passo avanti e brillare. Grazie alla mia vulnerabilità. E protetto dalla loro luce, anche io, spesso, trovo nuovamente la mia.
Perché Imprò mi sta dando, forse, nuovi amici. Io non so esprimere bene cosa davvero definisca un’amicizia. Ma se, guardando ad un’altra persona, riesci a vedere che la sua e la tua strada, emotiva ed esperienziale, hanno diverse intersezioni in comune, se queste intersezioni sono fatte di sorrisi, magari qualche pianto, un pizzico di disaccordo e il conforto di un abbraccio, ecco, per me il confine tra la conoscenza e l’amicizia inizia a sfumarsi veramente tanto. Magari si tratta solo di una conoscenza intima. Ma di sicuro è un’intimità che non capita di trovare in tutti i passatempi.
Insomma, perché per me improvvisazione teatrale è un viaggio introspettivo, in una cornice collaborativa.
Grazie compagni di viaggio, vecchi e nuovi, di cui conosco bene virtù e debolezze, o di cui non so ancora neanche il nome. Ci vediamo di nuovo in quello spazio unico e personale, spaventoso e attraente, per il quarto anno di fila. Ci vediamo sul palco. Assieme.